LA CORTE DEI CONTI Ha pronunciato la seguente ordinanza, sul ricorso prodotto dal sig. Domenico Pallante nato il 22 gennaio 1932 a Casape ed elettivamente domiciliato in Roma (00198), via Panama, 95, presso lo studio dell'avvocato Giovanni Rizza, rispettivamente avverso le note del 17 marzo e del 14 dicembre 1983 della prefettura di Frosinone e il decreto del Ministro dell'interno 28 novembre 1983, n. 2961; Uditi nella pubblica udienza del 21 ottobre 1987, con l'assistenza del segretario sig. Paolo Franchetti, il consigliere relatore dott. Silvio Pergameno, l'avv. Giovanni Rizza procuratore speciale del ricorrente e il pubblico ministero in persona del vice procuratore generale dott. Gennaro Faracca; Visti i ricorsi iscritti ai numeri 118382 e 121331 del registro di segreteria; Visti gli atti e i documenti tutti della causa; RITENUTO IN FATTO Con il primo dei due ricorsi prodotti, il sig. Pallante, guardia di P.S. cessato dal servizio per perdita del grado in data 21 gennaio 1980, ha impugnato la nota con la quale la prefettura di Alessandria gli aveva comunicato che la prefettura di Frosinone, con "tele" del 15 febbraio 1983 aveva disposto la sospensione del trattamento provvisorio di pensione in godimento, non avendo l'interessato raggiunto l'anzianita' minima di servizio effettivo necessaria per il conseguimento del diritto a pensione, in godimento. Con il secondo ricorso ha impugnato i provvedimenti con i quali la prefettura di Frosinone e il Ministero dell'interno gli hanno negato il diritto al trattamento vitalizio e disposto la corresponsione di indennita' una tantum, sulla base dei seguenti servizi: anni mesi gg. Esercito 4 settembre 1953-16 dicembre 1954. 1 3 13 P.S. 19 luglio 1955-28 febbraio 1967...... 11 7 12 P.S. 1º marzo 1967-20 gennaio 1980........ 6 5 10 (sosp.) Aumento 1/5 (art. 3, quinto comma, della legge n. 284/1977......................... 1 1 7 --------------------- 20 5 12 Con i proposti gravami il ricorrente, ricordato di essere cessato dal servizio dalla data di passaggio in giudicato della sentenza di condanna in appello a seguito di rigetto di ricorso per Cassazione, ed in applicazione del disposto dell'art. 16, primo comma, lett. g), della legge 26 luglio 1961, n. 709 (Stato giuridico ed avanzamento dei militari di truppa di P.S.) e rilevato anche che il periodo di sospensione viene valutato per meta' ai sensi dell'art. 8 del testo unico 29 dicembre 1973, n. 1092, fa presente quanto appresso: 1) il decreto di cessazione dal servizio e' intervenuto solo nel novembre 1980 e quindi il rapporto di attivita' e' continuato fino a tale data, o quanto meno fino al 31 luglio 1980 (fino a quando l'interessato ha percepito il trattamento di attivita' in relazione alla posizione rivestita - cioe' quella di sospensione cautelare a seguito di instaurazione di procedimento penale -); pertanto, essendo intervenuto provvedimento di cessazione dal servizio con effetto retroattivo, il periodo successivo alla cessazione, fino all'adozione del relativo decreto, dev'essere valutato; 2) nella fattispecie non trova applicazione l'art. 8 del t.u. n. 1092/1973, che stabilisce che il periodo di sospensione si valuta per meta', in quanto tale disposizione si riferisce alla sospensione adottata con provvedimento definitivo ed irrevocabile e non a quella cautelare, misura provvisoria destinata a cadere con il provvedimento di cessazione dal servizio (l'interessato subirebbe altrimenti una duplice sanzione); al riguardo si fa riferimento alla decisione 44863 del 6 marzo 1980 della Corte dei conti, sezione terza giurisdizionale ordinaria, pensioni civili; 3) l'art. 52 del t.u. n. 1092/1973, che stabilisce in anni diciannove, mesi sei e giorni uno di servizio il minimo indispensabile per il militare destituito per poter avere diritto a trattamento di quiescenza vitalizio, e' incostituzionale per eccesso di delega, in quanto le precedenti disposizioni prevedevano al riguardo un minimo di quindici anni; viene percio' sollevata questione di legittimita' dell'art. 52, terzo e quarto comma, del t.u. n. 1092/1973 per eccesso rispetto alla delega conferita con l'art. 6 della legge 28 ottobre 1970, n. 775, per violazione dell'art. 76 della Costituzione; 4) occorre valutare l'aumento di 1/5 di cui all'art. 3, quinto comma, della legge 27 maggio 1977, n. 284, che comporta un ulteriore periodo pensionabile di anni uno, mesi uno e giorni 7; 5) il t.a.r. del Lazio, adito dal ricorrente, aveva disposto la sospensione del provvedimento con il quale era stata disposta la sospensione del pagamento del trattamento provvisorio; quindi il decreto di liquidazione dell'indennita' una tantum e' stato emesso per eludere l'ordinanza del t.a.r. e come tale e' viziato per eccesso di potere (tra l'altro l'indennita' una tantum viene incamerata per costituire posizione assicurativa presso l'I.N.P.S., al cui trattamento pensionistico il ricorrente non ha attualmente diritto, in ragione dell'eta'). Concludendo il ricorrente chiede che gli sia riconosciuto il diritto a pensione vitalizia, con le conseguenze di legge (spese, Iva e maggiorazione). Dagli atti risulta che: a) con decreto del prefetto di Frosinone in data 25 febbraio 1967 l'agente Pallante fu sospeso precauzionalmente dal servizio dal 1º marzo 1967, perche' sottoposto a procedimento penale; la paga e gli altri assegni fissi e continuativi venivano contestualmente ridotti alla meta'; b) con decreto 30 agosto 1980 venne disposta la cessazione dal servizio del medesimo dal 21 gennaio 1980 (data della sentenza con la quale la Corte di cassazione ha rigettato il ricorso avverso la sentenza della corte di appello di Torino, confermativa della condanna inflitta all'agente dal tribunale di Alessandria). Con atto in data 6 aprile 1987 la procura generale di questa Corte ha chiesto l'accoglimento dei ricorsi (previa riunione), in relazione ai principi contenuti nella gia' ricordata decisione di questa medesima sezione n. 44863 del 6 marzo 1980. In data 21 settembre 1987 la parte ricorrente ha depositato memoria difensiva, insistendo per l'accoglimento dei proposti ricorsi, dopo aver riassunto le motivazioni innanzi gia' esposte. Nell'udienza di discussione della causa il pubblico ministero ha ritenuto di dover modificare la richiesta di cui all'atto scritto della procura generale non essendo a suo avviso condivisibile il principio cui si e' ispirata la decisione della sezione n. 44863, sopra richiamata in quanto si deve ritenere che anche il periodo di sospensione cautelare debba essere valutato per meta' e che la sospensione cautelare diviene definitiva ove il procedimento penale, come nella fattispecie, si concluda con la sentenza di condanna; ne', ad avviso al pubblico ministero, puo' profilarsi questione di legittimita' costituzionale dell'art. 52 del t.u. n. 1092/1973, nei sensi di cui all'ordinanza della sezione n. 59035 del 12 febbraio 1986 (ricorso Pappaluca). Infatti con tale ordinanza, ha proseguito il pubblico ministero, e' stata proposta questione di legittimita' costituzionale di diversa disposizione di legge, e cioe' dell'art. 58 della legge n. 709/1961, per disparita' di trattamento degli agenti di P.S. rispetto agli ufficiali quanto alla durata del servizio minimo necessario per poter conseguire pensione vitalizia in caso di cessazione per destinazione (venti anni per i primi e quindici per i secondi, laddove l'art. 52 del d.P.R. n. 1092/1973 dispone in generale per tutti i militari, quale che sia il grado, che la pensione normale vitalizia si consegue con venti anni di servizio effettivo, ove la cessazione dal servizio sia avvenuta per perdita del grado (oltre che a domanda o per decadenza). La difesa del ricorrente ha ricordato di avere con gli atti scritti sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 52 del t.u. n. 1092/1973 "per eccesso di delega", in quanto l'art. 6 della legge di delegazione legislativa (Legge n. 775/1970) non consentiva modificazioni peggiorative del sistema, fino al punto di privare della pensione soggetti che prima ne avrebbero avuto diritto; per una tale estensione, la legge avrebbe dovuto fissare nuovi principi direttivi; ha poi richiamato gli altri motivi del ricorso ed ha concluso chiedendo che al ricorrente sia riconosciuto il diritto a pensione vitalizia. CONSIDERATO IN DIRITTO La sezione, rilevata preliminarmente la connessione soggettiva ed oggettiva tra i due ricorsi, ne dispone la riunione. Osserva poi che le considerazioni del pubblico ministero in ordine alla valutabilita' per meta' dell'effettivia durata del periodo di sospensione cautelare meritano di essere condivise. E cio' sia perche' l'art. 8 del t.u. n. 1092/1973, che sancisce tale ridotta valutabilita', non distingue tra le varie forme di sospensione (disciplinare, cautelare e conseguente ad espiazione di pena detentiva) e perche' del pari nessuna distinzione viene in considerazione nelle analoghe disposizioni di stato giuridico dei corpi militari (ivi compreso l'art. 15, ultimo comma, della legge n. 709/1961, sullo stato giuridico dei militari di truppa della P.S.), sia anche perche' le ricordate leggi di status stabiliscono i casi nei quali la sospensione precauzionale viene revocata (proscioglimento in sede penale e disciplinare); in caso di condanna quindi, come esattamente rilevato dal pubblico ministero, la sospensione cautelare diviene definitiva. La valutazione per meta' del periodo di sospensione corrisponde poi a uno stato di quiescenza del rapporto, durante il quale il militare viene anche pagato per meta' (artt. 12, 13, 14 e 15 della legge n. 709/1961). Il periodo intercorrente fra la data di cessazione dal servizio e il 31 luglio 1980 non puo' essere valutato ai fini di quiescenza, nemmeno per meta'. I principi stabiliti dalla Corte costituzionale con la sentenza 16 marzo 1971, n. 48 (ricorso Stanco) non appaiono applicabili nella fattispecie, infatti, con tale sentenza e' stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, secondo comma, del r.d. 21 novembre 1923, n. 2480, in quanto non consentiva la valutabilita' ai fini di pensione del servizio reso dopo la data di cessazione giuridica dal servizio, disposta con decreto adottato successivamente, e quindi con effetto retroattivo; in tale sede la Corte costituzionale ha rilevato che se il rapporto di servizio non puo' avere termine senza un legittimo provvedimento, finche' questo non e' adottato esso vive e produce i suoi effetti, compreso quello dell'attribuzione di quella parte differita di retribuzione che e' la pensione. Nella fattispecie oggetto del presente ricorso invece l'interessato non ha prestato alcun servizio (in quanto si trovava nella posizione di sospeso) e per di piu', come e' stato riferito in narrativa, l'amministrazione non ha inteso riconoscergli nemmeno il diritto al trattamento di attivita' ridotto ad un mezzo per il periodo 21 gennaio-31 luglio 1980; non c'era infatti stata alcuna prestazione di attivita' lavorativa (dalla dichiarazione del comandante del gruppo di P.S. di Frosinone in data 7 novembre 1980, n. 01746, risulta che il ricorrente ha lasciato un debito di L. 2.237.990 per stipendio ed altri assegni fissi percepiti per il detto periodo). Altra doglianza del ricorrente e' incentrata sull'osservazione che il decreto impugnato sarebbe stato emanato allo scopo di eludere l'ordinanza del giudice amministrativo, di sospensione del provvedimento con il quale era stato sospeso il pagamento della pensione provvisoria; ma al riguardo va osservato che, a parte la circostanza che di quanto ritenuto dalla parte ricorrente non esiste nemmeno un principio di prova, la Corte dei conti e' giudice del rapporto e non della legittimita' dell'atto e deve quindi stabilire la sussistenza o meno del diritto rivendicato. In base alle considerazioni innanzi esposte non possono che essere disattesi i motivi di doglianza di cui ai punti 1, 3 e 4 del ricorso (cosi' esposti in narrativa). Diversa considerazione e valutazione, ad avviso del collegio, merita invece il secondo motivo di gravame, con il quale e' stata proposta questione di legittimita' costituzionale dell'art. 52, terzo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, con fissa in anni diciannove, mesi sei e giorni uno il servizio minimo indispensabile affinche' il militare destituito possa conseguire la pensione ordinaria; la norma presenterebbe profilo di incostituzionalita', ad avviso della parte ricorrente, per eccesso rispetto alla delega di cui all'art. 6 della legge 28 ottobre 1970, n. 775, in violazione quindi dell'art. 76 della Costituzione (norma contenente delega al Governo di provvedere alla raccolta in testi unici delle disposizioni dei diversi settori dell'ordinamento, apportando alle stesse le modificazioni e le integrazioni necessarie per il loro coordinamento ed ammodernamento ai fini di una migliore accessibilita' e comprensibilita' delle norme medesime). Ad avviso della parte ricorrente, la legislazione anteriore al t.u. n. 1092/1973 avrebbe riconosciuto il diritto a pensione del militare destituito con soli quindici anni di servizio, un diritto che non poteva essere poi disconosciuto in sede di redazione di un testo unico, tenuto in particolare conto dei limiti della delega, come innanzi ricordati. Tale impostazione merita innanzi tutto una precisazione. Se si eccettua l'art. 12 del r.d. 18 novembre 1920, n. 1626, in base alla cui disposizione si riconosceva diritto a pensione agli ufficiali destituiti con quindici anni di servizio, prima dell'entrata in vigore del t.u. n. 1092/1973 non esitevano norme specifiche circa il diritto a pensione dei militari di truppa e dei sottufficiali che fossero cessati dal servizio per perdita del grado; solo l'art. 58 della legge 26 luglio 1961, n. 709 (stato giuridico dei militari di truppa della P.S.) stabiliva che gli appartenenti al corpo delle guardie di P.S. che cessano dal servizio per perdita del grado con provvedimento che non comporta la perdita del diritto a pensione. . . conseguono il trattamento di quiescenza secondo le norme generali vigenti in materia. Peraltro anche "tali norme generali" risultavano di difficile individuazione, per la circostanza che le varie norme di stato giuridico del personale militare non contenevano disposizioni di carattere generale sul diritto a pensione, ma stabilivano, ai fini della durata minima del servizio all'uopo necessario, limiti diversi: quindici anni di servizio utile di cui dodici di servizio effettivo nei casi di cessazione per eta', per infermita' non dipendente da causa di servizio, per scarso rendimento, per inosservanza delle disposizioni sul matrimonio (oggi cadute); venti anni erano richiesti solo per le cessazioni a domanda. L'esistenza di un limite di servizio di anni venti perche' il militare destituito potesse conseguire la pensione vitalizia e' stata peraltro ritenuta, anche dalla stessa Corte costituzionale, in base al c.d. "diritto vivente"; ma al riguardo deve essere ricordato come con numerose sentenze del supremo giudice delle leggi tale limite e' stato ritenuto incostituzionale nei riguardi di diverse categorie di personale militare (di truppa e sottufficiale) per disparita' di trattamento con il personale ufficiali (pensione con quindici anni di servizio, sempre in caso di destituzione), sempre con riferimento a casi di cessazione dal servizio anteriori all'entrata in vigore del t.u. n. 1092/1973 (sentenza 22-25 ottobre 1985, n. 236; sentenza 21-30 dicembre 1982, n. 255; sentenza 18-30 giugno 1971, n. 144; sentenza 6 maggio 1987, n. 154). L'ultima delle sentenze concerne proprio un agente di P.S., cessato per perdita di grado, peraltro anteriormente all'entrata in vigore del t.u. n. 1092/1973. Quanto sopra esposto il collegio rileva che la disposizione di cui all'art. 52, terzo comma, del t.u. n. 1092/1973 ha previsto un solo limite di anni venti per il conseguimento, del diritto a pensione nei riguardi del personale militare e senza distinzione di grado; non esiste cioe' piu' al riguardo alcuna disparita' di trattamento. E' peraltro da sottolineare diversa circostanza che puo' far dubitare della legittimita' costituzionale delle disposizioni contenute nella norma in parola, con riferimento in sostanza all'art. 76 della Costituzione, anche se non all'esatto senso prospettato dalla parte ricorrente. Senza entrare nel merito di un eccesso di delega in cui il normoteta sarebbe incorso nel momento dell'emanazione del t.u. n. 1092/1973 stante la circostanza che il limite di venti anni di servizio - di cui si discute - e' stato ritenuto esistente anche prima del detto testo unico, come si e' ricordato, come disposizione di carattere generale, applicabile anche nel caso della cessazione per perdita del grado, ed anche a non voler ricordare che nel 1973 era gia' stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 45, primo comma, del r.d. 18 giugno 1931, n. 914, con la richiamata sentenza costituzionale n. 144/1971, con la conseguenza che ai sottufficiali dell'esercito e della marina veniva riconosciuto diritto a pensione con quindici anni di servizio (e con una motivazione - disparita' di trattamento rispetto agli ufficiali - che si prestava con chiarezza ad essere estesa anche al restante personale militare della truppa e dei sottufficiali, come poi si e' verificato), resta comunque il fatto che dopo le ricordate sentenze costituzionali la regolamentazione della soggetta materia anteriore al testo unico e' venuta a cadere, e i casi - non poi tanto rari - concernenti il trattamento di quiescenza di personale militare destituito in data anteriore al 1º giugno 1974 (data di entrata in vigore del t.u. n. 1092/1973) debbono essere risolti tenendo presente un'anzianita' di servizio di anni quindici. Il collegio dubita cioe' che, nella situazione che si e' venuta a realizzare, la disposizione di cui al terzo comma dell'art. 52 del t.u. n. 1092/1973 corrisponda a un criterio di migliore accessibilita' e comprensibilita' delle disposizioni anteriori (non senza sospettare che un sia pur minor dubbio analogo potesse gia' sorgere anche all'atto dell'emanazione stessa del testo unico in parola). Considerato che tutti i servizi sono stati esattamente valutati dal Ministero dell'interno con l'impugnato decreto, che il servizio effettivo prestato dal ricorrente non raggiunge il limite di anni venti e che pertanto la risoluzione dell'espresso dubbio di costituzionalita' appare rilevante per la decisione della causa, il collegio ritiene di sottoporre alla verifica di costituzionalita' la menzionata norma (art. 52, terzo comma, del t.u. 29 dicembre 1973, n. 1092).